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12 Maggio 2000

Il giorno della competizione
cominciò col suono della sveglia
che mi obbligava ad alzarmi
presto quel mattino.

Avevo sonno eppure dovevo
svegliarmi, una parte di me
diceva continua a dormire,
un'altra spingeva per alzarsi dal letto.

Volevo alzarmi e volevo dormire:
ma anche se mi fossi definitivamente svegliato
e fossi andato alla gara
che cosa ci avrei guadagnato?

Supponiamo: io mi sveglio, mi lavo
faccio colazione, indosso la tuta,
esco da casa, faccio la strada che c'è da fare
e arrivo nel luogo destinato alla sfida.

Supponiamo: e infine mi accingo a gareggiare.
E poi? Guardo l'avversario,
gli altri concorrenti, gli sfidanti
e non sono uomini: sono concorrenza.

Cerco se è venuto alla competizione
il solito vincitore di tutte le gare
e invece di chiedergli come sta, mi lamento
perché Dio non mi ha concesso la grazia di rompergli una gamba.

Un attimo prima della sfida
invece di comprarmi un gelato
e godermi beato il sole del primo mattino
devo isolarmi in cerca della mia concentrazione.

Parte la competizione: è una gara di corsa.
Mi affanno, corro, e più mi stanco
più eroicamente stringo i denti e vado avanti
squadrando con odio chi sembra più in forma di me.

Sfido le mie risorse per stare al passo
del solito vincitore di tutte le gare,
ad un certo punto lui cade e sembra slogarsi una caviglia,
lo guardo e invece di preoccuparmi per lui, ci godo.

Supponiamo: io vinco la competizione.
Prendo il premio, mi gusto gli onori
e lascio dichiarazioni in cui mi dispiaccio
per la caduta del solito vincitore.

Non sono bugiardo ma sono sincero:
ormai ho vinto e posso permettermi
il lusso, soprattutto con me stesso,
d?essere magnanimo e comprensivo.

Forse troppo: ho vinto, ma la mia vittoria
è la sconfitta degli altri, che poteva anche esser la mia,
e questo mi lascia turbato e dopo un po'
non sono più in grado di godermi il primato.

Le telecamere mi hanno inquadrato cinque minuti fa
e io resterò il vincitore felice dopo una vittoria,
ma adesso che sono da solo non ci sono
occhi per immortalare il mio malumore.

E dentro mi rugge una strana insoddisfazione,
non so che fare, a meno di zittirla
concentrandomi sulla prossima sfida
cercando d'essere ancora più forte di adesso.

Supponiamo: io non mi sveglio,
mi godo ancora qualche ora di sonno,
poi mi alzo, faccio colazione, mi lavo,
mi vesto e vado a casa del mio amore.

Supponiamo: ci baciamo, ci avvinghiamo sopra il letto
e facciamo tante cose che è proibito riferire.
E nel post coito, invece di accendere una sigaretta,
accendo la tv che è in camera da letto.

Supponiamo: vedo il solito vincitore di tutte le gare
intervistato da un giornalista che dichiara d'essere
stanco ma soddisfatto del suo ennesimo trionfo.
Io lo guardo con aria indifferente.

E mentre mi godo tutta la morbidezza della pelle del mio amore
penso che anch'io sono soddisfatto
e lo sono senza aver fatto neanche la fatica 
di dovermi stancare più di tanto.







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