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Maggio 1999

Fu un impeto quello che sentii,
un tumulto che dai più 
tumultuosi meandri dell'intestino
sagace risalì
(o ridiscese, fate voi)
fino allo sfiato,
fino al buso il cui sollazzo
è tanto caro agli amanti
degli amori alternativi.
Fu una tempesta quella che sentii,
un temporale accompagnato
da lampi nella mia mente
e tuoni non immaginari
e profumi sparsi 
assai dissimili da qualsiasi
profumo che uno oserebbe cospargersi
andando ad un appuntamento.

E nel far di culo trombetta,
un peso infine mi prese
e persi la capacità di pensare
a qualsiasi altra cosa.
Sovrumani furono gli sforzi
per trattenere la mandria marrone
fremente al ciglio della fine
del mio personale tubo di scarico.
Provai a stringere le chiappe
e pensare riguardo al da farsi.
Mapporcadiquellazoccolatroiacornutafilofascista:
i sintomi c'erano tutti:
ma doveva venirmi
proprio adesso questo attacco di caghite,
qui sull'autostrada
a ventisette chilometri di distanza
dalla stazione di servizio 
più vicina

Tragica fu la situazione,
tragico fu il colore paonazzo
del mio viso man mano che il tempo passava,
tragico non fu per fortuna
lo sfondare il muro del suono
per cercare di arrivare il prima possibile.
E infine giunsi,
e ti guardai,
tu cesso! angelica creatura,
panacea di ogni diarreica tortura,
solo tu sai 
quanto in quel momento ti amai.
Forse troppo direi,
giacché per ringraziarti
stoltamente baciai il tuo pavimento
(come facevano i navigatori
al ritorno di un viaggio nel mare in burrasca) 
e ora mi ritrovo
con non più di due mesi di vita
per colpa di un qualche bacillo
contratto in quel contatto sconsiderato.







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